Storia di uno scarto di lavorazione.

Se ci seguite sui social, in particolare su Facebook, vi sarà capitato di vedere un video in slow motion di un grappolo di uva che finisce in un giallissimo tubo attaccato al pavimento. Da lì, le uve cadono direttamente nella deraspatrice che, come il nome suggerisce già da sé, deraspa, ovvero toglie i raspi dall’acino (o forse è il contrario?).

Le nostre fecce lasciate a macerare all’aria.

Gli acini, che si tratti di uve a bacca bianca o a bacca nera, attraverso la pressatura vengono “strizzati” e di loro non rimane che la buccia e i semi. E mentre il “nettare degli dei” viene stoccato nei tini d’acciaio, le fecce (così si chiama lo scarto), viene accumulato per essere buttato.

Di tutto questo processo, quello che vogliamo raccontare è proprio la fine che fanno queste fecce. L’idea ci è venuta pensando alla Giornata Mondiale dell’Habitat, il prossimo 7 Ottobre, che ha come tema principale il “riuso”.

Nel nostro lavoro, proprio per quella scelta biologica di cui vi abbiamo parlato su Instagram qualche settimana fa, ci interroghiamo spessissimo sul riuso, sulla circolarità e sul tentativo di produrre il minor numero possibile di scarti.
Ci siamo domandati come fare per non generare uno scarto vuoto, ma un sottoprodotto utile a essere trasformato o riutilizzato: in favore di questa prospettiva abbiamo trovato studi e ricerche che ci hanno aiutato.

In favore della sostenibilità e della circolarità, noi, le fecce, le usiamo come concime. Se a prima vista può sembrare scontato e banale, la curiosità è che le fecce prodotte da sei ettari di vigna non sono mai sufficienti a concimare in modo significativo quegli stessi sei ettari. Così noi, che abbiamo un piccolo orto, le usiamo, insieme alla pollina (cioè lo scarto prodotto dai polli) per arricchire e ammorbidire il nostro pezzetto di terra. Questo vuol dire risparmiare su altri concimi, sempre biologici, che altrimenti saremmo costretti ad acquistare. Risparmiamo sul prodotto in sé ma anche sul suo confezionamento, incluso l’involucro in plastica, il trasporto, la sua lavorazione e via così a ritroso, alimentando inutilmente il processo di consumo.

Così, anche se in modo meno tangibile rispetto ad altri atteggiamenti virtuosi, diamo il nostro contributo all’ambiente e al rispetto della natura.
E ne traiamo qualcosa anche noi: meravigliosi e succulenti frutti della terra che, non per vantarci, hanno tutto un altro sapore.

Lascia un commento