Se c’è una cosa che facciamo con molta costanza è ripeterci che non ci sono grandi spazi per l’improvvisazione. Sebbene lavorare gomito a gomito richieda grande tolleranza per imprevisti e compagnia danzante, quando si tratta di prepararci alla vendemmia o altre lavorazioni importanti, il temine “improvvisare” sparisce rapidamente dal nostro vocabolario.

Ed è proprio questo che vogliamo raccontarvi: la non improvvisazione che c’è dietro i nostri vini.
La vendemmia, nel senso del termine “raccogliere fisicamente l’uva” ormai è iniziata da diversi giorni, eppure la vendemmia nel senso di “ragionare e pensare a che vini produrre quest’anno” è iniziata poco prima di metà Agosto.
Sì, perché il lavoro che facciamo è quello di dare voce ed espressione al nostro terroir, è fare attenzione non solo ai dati scientifici, ma anche all’andamento della stagione, all’aspetto della vigna, alla realtà.
Ci siamo messi a tavolino, sembra poco poetico eppure è così, e abbiamo iniziato a ragionare su una serie di aspetti diversi. Primo tra tutti abbiamo iniziato a fare le analisi, a misurare il grado babo, che serve a misurare il contenuto zuccherino nel mosto. E’ il primo dato che prendiamo in considerazione per capire quando programmare la prima raccolta. Insieme a questo misuriamo anche i livelli di acidità, per dare vita ad un vino che sia equilibrato, piacevole e il più fedele possibile alle caratteristiche dell’uva.
E’ da qui che iniziamo a stilare il nostro personale elenco delle raccolte, pianificando quanta uva, ma soprattutto quale, raccogliere in un determinato giorno.
Ammettiamo che, nel corso degli anni, molte cose sono cambiate. L’esperienza ci ha aiutati a pianificare molto meglio non solo la raccolta ma anche la creazione dei blend. Abbiamo dovuto imparare a conoscere i vitigni e, soprattutto, la loro evoluzione. Questo ci è servito per decidere, con un po’ di anticipo, quali caratteristiche esaltare e come mescolarle tra loro.
Se, ad esempio, il primo Fatjà 2013 è nato da un’intuizione e una conoscenza di certi vitigni, il Fatjà 2017 è una vera e propria evoluzione. Abbiamo imparato così tanto dalla crescita del Cabernet Franc, dal suo modo di trarre il meglio dal nostro territorio, che abbiamo deciso, con una certa convinzione, di sostituirlo, nel blend, al Cabernet Sauvignon.
E’ così che è nato anche il Fiacca. Dall’esterno può sembrare una copia del classico Thalia, per noi è il risultato di una ricerca di equilibrio, di ricreare un vino che fosse al tempo stesso giovane, semplice e ricco di tradizione. La sua composizione, che rimarrà d’ora in poi invariata negli anni, l’abbiamo prima pensata e poi messa in pratica. Al momento della raccolta sapevamo già quanto Montepulciano, quanto Cabernet Sauvignon, quante “gocce” di Petit Verdot lo compongono.
Sembra molto meccanico, vero? Eppure ai nostri occhi è un processo essenziale perché il lavoro che la natura ha fatto in un anno, non risulti vanificato dal caso o dalle contingenze.
Lo ammetto, prima sembravamo un po’ scienziati pazzi, a miscelare e assaggiare e ponderare, oggi ci sentiamo un po’ più pensatori, abbastanza vicini alla nostra terra da immaginare come sarà il vino quando, finalmente, stapperemo le nostre bottiglie.